Un pomeriggio di fine estate

E’ la battaglia di ogni giorno, quella con la mia costante inquietudine. Sembra addormentarsi, a volte. Poi si risveglia, prepotente e giovane, come il leader di una baby gang. Insoddisfazione da contatto. Ecco di cosa soffro, in questi tempi cosi veloci.

Insoddisfazione di me. Posseggo tutto. Almeno tutto quello che mi interessa.

Affronto ogni giorno il peso della difficoltà di parlare e pensare a cose che si possono comprare. Non mi interessano. Anzi le detesto. Possible? Detesto tutto ciò che è quantificabile, acquistabile. Eppure devo parlarne, devo pensarci; sopravvivere a queste maledette questioni materiali è la mia missione. Come sarebbe bella una vita solo di cose che non hanno un valore economico!!

Intorno sembra che ci sia una gara per smentirmi. E onestamente non ne sono spettatore interessato. Ma chi vive solo per ciò che si compra entra prepotentemente nel mio cerchio, denigrando le idee, prendendosi gioco dei principi e rendendomi nervoso. Ancora il lavoro da fare sulla mia tolleranza è tanto. Vorrei separarmi dal mondo che mi circonda. Partecipare senza essere notato, anche se la colpa è mia, del mio carattere esuberante, della mia propensione a parlare. Dovrei scegliere il silenzio. Galleggiare con le mie idee nel mare vuoto della nostra società ; fare due bracciate insieme a chi mi può comprendere. E poi uscire dall’acqua e asciugarmi. Cosi, come se niente fosse.

Sono giorni che penso e non riesco a scrivere. L’esperienza del volontariato mi ha un pò frastornato. E ci sono quelle riflessioni fatte a Rovereto con Emanuela e Agnese. Aver paura di tornare a casa dopo il terremoto. Non paura del crollo. Paura della perdità di socialità. Condividere niente, poi tutto, poi di nuovo niente. Questo potrebbe succedere ai terremotati. Assaggiare il piatto genuino dello stare insieme nelle difficoltà. Poi venirne privati, per sempre. Mi ripetono in molti che le persone che vivono nelle tende dovrebbero saper sfruttare l’occasione, una volta rientrati nelle case, mantenendo comunque rapporti stretti con i propri vicini e compagni di ventura. E dovrebbero comprendere finalmente cosa è il bisogno e cosa invece il vizio del possesso. Ma sappiamo benissimo cosa succederà. La moltitudine sarà riassorbita dai bisogni indotti. In pochi sentiranno nostalgia.

Al contrario di me. Io ho nostalgia di tutto. E’ un sentimento che non mi lascia mai. E’ come se vivessi un perenne pomeriggio di fine estate. Di quei pomeriggi, al campeggio, nei quali si alza un vento ancora caldo, e tra le tende che si afflosciano e le corde arrotolate, gli sguardi dei ragazzi si incontrano. E si raccontano quello che è stato, quello che è perduto. Si ha la sensazione ( aihmè verità) che quei momenti sono andati per sempre. Quegli occhi arrossati e quei giochi quasi innocenti sono sabbia scossa dalle seggioline da mare a favore di libeccio.

Insoddisfatto nostalgico.

Il terremoto ha scosso anche il mio progetto. Nei fatti, ovviamente, non nella sostanza ne nelle intenzioni. L’ orto da balcone deve ancora essere sistemato. E la cantina è tutt’ora vuota. Ma ho deciso di compiere un altro passo pratico. Nei prossimi giorni chiederò di essere depennato dalla lista dei membri della Chiesa Cattolica Cristiana. In poche parole, ho fatto richiesta affinchè mi venisse tolto il battesimo. Formalmente  sarò di nuovo di mia proprietà. Anche se di fatto, non ho ancora deciso cosa fare di me, una volta che mi avrò. Credo che continuerò a fare un passo alla volta. Costruendo un me più tollerante, meno insoddisfatto e sempre nostalgico.

In fondo quel brivido alla gola, quel caldo alla bocca dello stomaco, e quelle lacrime per ciò che non sarà mai, mi fanno sentire vivo. Cosi come mi fa sentire vivo, in questo mare inquinato di cose da comprare, sapere che nuoti accanto a me.