L’uomo nel mondo

pubblicata da Yuri Benelli il giorno venerdì 27 luglio 2012 alle ore 12.43

Nel corso della storia dell’umanità, dagli albori della civiltà Greca, ai giorni nostri, nessun assetto politico-sociale e nessuna riforma che intendesse modificare tale assetto, ha potuto prescindere da una più o meno sottintesa “immagine del mondo”. Si tratta in questo caso di un termine tecnico filosofico che individua quell’insieme di concetti politico-sociali prima, antropologici poi (dalla rivoluzione scientifica post galileiana) che intendono tratteggiare i confini della così detta “natura umana”. Non intendo qui dare il mio personale contributo all’evolversi dell’attuale immagine del mondo (cosa per altro oltremodo complessa), ma, scopo di questo breve articolo è quello di rintracciare i caratteri contraddittori delle diverse immagini del mondo che si sono susseguite nella storia.

 

Cos’è l’uomo? Come si comporta in società? Qual’è la sua natura primaria?

Queste le domande fondamentali che dovrebbero servire da traccia-guida a coloro che si avventurano all’interno di un pensiero politico di riforma.

 

Il primo pensiero filosofico scritto che è pervenuto fino ai nostri giorni è forse il pensiero politico Aristotelico. Parliamo indicativamente della Grecia del 300 a.C.. Volendo fare economia potremmo usare uno slogan per individuare tale pensiero: L’uomo è “animale sociale razionale”. Queste tre semplici parole portano con se 2300 anni di indagine filosofica e antropologica. Aristotele intende che l’uomo è innanzitutto un animale (cioè un ente dotato di Anima) e che per sua natura è un animale sociale e (ancor più importante) socievole. L’individuazione e la caratterizzazione dell’uomo come animale sociale e socievole intende definire radicalmente un uomo partendo dalla sua socialità e dalla sua socievolezza. Intende cioè che l’uomo non può definirsi tale se non vive in società. Il conflitto, la lotta, (dalle dispute politiche alla guerra) sono, in questo contesto, interpretate come patologie che agiscono all’interno di un sistema organico armonioso. Sono cioè, la manifestazione di un malfunzionamento all’interno della società, uno stato temporaneo e sporadico che può e deve essere risolto. Siamo all’interno di una cornice intellettuale molto diversa da quella attuale. Non esiste( e non esisterà fino alla filosofia cristiana di Tommaso) il concetto di “persona”. Ogni uomo è uomo perché e in quanto ha un ruolo all’interno della società Greca. Anche se, tutti gli uomini posseggono uno “statuto speciale” di Animali Razionali (ovvero enti dotati di Anima Razionale) Aristotele non prende ancora in considerazione il concetto di uguaglianza universale dell’uomo in quanto persona.

 

Non voglio addentrarmi ulteriormente nel pensiero Aristotelico, ma spero che i tratti fondamentali della sua filosofia politica siano stati chiariti.

 

Quasi 2000 anni più tardi, il filosofo Tomas Hobbes opera uno dei più importanti cambi paradigmatici nella filosofia antropologica. Hobbes modifica radicalmente l’idea di uomo nella società ribaltando la concezione del conflitto come patologia. Per Hobbes, l’uomo non è un animale adatto a vivere pacificamente in società ma, piuttosto, “l’uomo è per l’uomo un lupo” (Cfr T. Hobbes – De Cive. Introd. 1642). In definitiva, lo stato naturale dell’uomo è quello del conflitto e della guerra di tutti contro tutti. L’unica speranza per l’emancipazione dell’uomo dal conflitto è la speranza dettata dalla razionalità, che ci permette di comprendere che uno stato perdurante di guerra di tutti contro tutti non può far altro che portarci verso il “primo dei mali” ,ovvero: la morte.

La visione di Hobbes dell’uomo nel mondo è radicalmente diversa dalla tradizione che lo precede ed è per questo che Hobbes viene considerato l’autore che inaugura la modernità nella filosofia politica.

 

Il tratteggio di queste due grandi filosofie a confronto porta inevitabilmente ad una domanda: Come possono conciliarsi queste due visioni così radicalmente diverse dell’uomo nel mondo? L’uomo è lo stesso di 2500 anni fa? Oppure l’uomo ha cambiato alcuni dei suoi tratti fondamentali, tanto da richiedere un cambio paradigmatico nella visione dell’uomo nel mondo?

 

La questione non è di poco conto. Una riflessione sull’uomo nel mondo è diventata anor più fondamentale dopo il 1900, secolo nel quale abbiamo assistito ad applicazioni più o meno volontarie e consapevoli di ideologie totalitariste, alcune delle quali permeate da una grande profondità teorica, ma che alla prova dei fatti si sono rivelate inapplicabili all’umanità. Abbiamo assistito cioè ad uno scontro fra un’immagine dell’uomo nel mondo e l’uomo reale che ha portato ai più grandi conflitti e barbarie nella storia dell’uomo. Nel 900 si è probabilmente pensato che l’uomo fosse una certa cosa (cioè disposto all’uguaglianza, alla parità, all’altruismo) e, sulla base di questa visione sono stati costruiti sistemi sociali. Questa è naturalmente una semplificazione e non esaurisce il problema dello studio delle ideologie novecentesche, ma è, secondo me, un buon punto di vista.

 

Rimane la domanda iniziale: Cos’è l’uomo? Come si comporta in società? Qual’è la sua natura primaria?

 

Riflettiamo…