Da terremotato inVolontario

Partire per l’Emilia è sempre un brivido.

Anche stavolta è stata veramente un impresa. Abbiamo raccolto soldi, prevalentemente. Conservare la pasta in modo corretto sarebbe stato impossibile. Per fortuna tutte le persone che hanno partecipato hanno capito. Non solo sarebbe  stato rischioso per l’integrità del prodotto. Sarebbe stato problematico passare gli eventuali controlli dell’ASL, qualora gli ispettori avessero trovato pacchi di pasta non correttemente conservati. Abbiamo scelto la pasta I Tre Mulini dell’Eurospin, dopo la solita indagine su costo/ qualità.

Sono passati pochi giorni dopo lo start dell’iniziativa. Ho una strana sensazione. Temo come sempre che non ce la faremo. E di pari passo, stavolta, mi sento solo. Mi rendo perfettamente conto che è una sensazione errata. Manu è sempre qui accanto. Ago si presta ad accompagnarmi a prendere il furgone quando verrà il momento. Andrea ha dato la sua disponibilità a venire, qualora ci fosse bisogno di un altro mezzo. Tuttavia mi sento isolato. Nel gruppo su Facebook sono pochissimi quelli che scrivono, le persone a cui chiedo il contributo iniziano ad essere un pò insofferenti. E io sono stanco. Mortalmente stanco. Tengo i contatti con il campo, cerco di stimolare la partecipazione, raccolgo soldi, mi informo sulla disponibilità dei pallet, i famosi Dusseldorf, dei bancali mezzo ferro mezzo legno pesanti come macigni. Li troviamo a San Miniato, passerò ad acquistarli nel pomeriggio del Venerdi, non appena prelevato il furgone di Luca, sempre disponibile per le genti emiliane.

Eppure c’è qualcosa che non va.

Un accelerata improvvisa dopo una settimana dallo start. Arrivano aiuti da Roma, da Finale Ligure, dal Veneto. I ragazzi del CSP partecipano come sempre, e dagli uffici della preparazione de La Nazione, a Firenze, arriva un contributo inatteso.Silvia e i suoi partecipano come sempre. Il risultato è acquisito. Avevo detto a Francesca: vi porto 1000 kg di pasta. Saranno 1500 circa.

C’è qualcosa che non va.

Stavolta il team è ridotto ai minimi termini. Partiamo in tre, su due furgoni. Andrea guida il suo mezzo, si vede che è abituato. Io e manu siamo sull’altro furgone. Il viaggio è uno spasso. Ci fermiamo per la colazione, poi per un caffè. Non c’è traffico. La sera prima abbiamo caricato i furgoni con l’aiuto di Francesca, responsabile del Centro Eurospin Prato 2 e di  un suo collega. Abbiamo fatto i video, attaccando come avevamo programmato, le etichette che indicassero le varie adozioni dei bancali da parte dei donatori. Un gesto simbolico. Mi chiedo come sarà Cavezzo.

Sono irrequieto. Arriviamo intorno alle 7:30. Ci sono tre volontari pugliesi e il gruppo dei ragazzi, Francesca, sua sorella, Marco, altri amici. Le nostre genti terremotate. Poi sarà la volta di un furgone dei Lyon di Mantova, con un carico di biancheria intima. Nel frattempo il Team si reca sul retro del palazzetto, nel deposito della protezione Civile, per scaricare la pasta. Tutti molto gentili, dobbiamo tirar giù i bancali a mano, non ci sono mulettisti disponibili. L’operazione dura 20 minuti. Andrea riparte. Noi ci fermiamo al Campo. Aiutiamo a scaricare il furgone dei Lyon, scambiamo e-mail, impressioni. Poi facciamo due passi in paese, Manu e io.

La vita. Sembra un formicaio ove tutti fanno il loro minuscolo e fondamentale compito. Ci sono attività commerciali che hanno riaperto, ma non ci sono clienti in buon numero. Alcune case sono state messe in sicurezza, attendono  adesso di essere demolite. Signori che girano in bici. Qualcuno passeggia. Poi osservo bene. Il paese sembra un set cinematografico. Le case ci sono, i palazzi anche, ma sembrano falsi. Le persone sembrano comparse, solo gli operai sono credibli. E’ come se un regista, non molto capace, avesse sistemato qua e la presenze umane, per giustificare l’esistenza del posto. La mia impressione ,aihmè, è che ancora cavezzo non esiste. Non qui. Esiste nelle sue genti, al campo. E’ nato persino un altro agglomerato di tende che non ricordo ci fosse, vicino al campo sportivo.

Non riesco, la stanchezza mi vince. Dobbiamo rientrare. So che è presto, avrei da fare mille cose in zona, ma proprio sento le gambe cedere, Emanuela è preoccupata, per cui è bene che ripartiamo. Anche perchè dobbiam fermarci a Rovereto, come promesso. Andare via dal campo è sempre come la fine dell’estate.

Rovereto è letteralmente devastato. Palazzine piccole, case basse, tutto incrinato. E’ una frazioncina piccola, per cui è probabile che la sensazione di maggiore vita che mi da rispetto a Cavezzo, sia dovuta al fatto che lo spazio è minore e la popolazione concentrata. Incontriamo Agnese con il marito. Abbiamo parlato per la prima volta tramite il sito Insiemexrovereto. E’ una donna attiva, propositiva. Mi dice che hanno la stringente necessità di far ripartire le attività in zona. Mi dice che ormai troppo spesso ci sono gruppetti che si autodefiniscono, si caricano di beni e li trasportano dove ci sono tende. Lei sostiene che non è del tutto un bene. Non adesso. Rischia di diventare una situazione fuori controllo, di pura assistenza anche dove non servirebbe. Si osservano scene raccapriccianti, simili anche a Cavezzo. Industriali che si recano con il Suv e una lista dei prodotti ( marca compresa) agli spacci gratuiti, mentre le loro aziende già lavorano. Cantine private riempite con i beni più disparati. Litigi alle mense per una polpetta in più o in meno nel piatto( raccontato da una volontaria di San Possidonio). Mi chiedo: se per gli sciacalli servono i braccialetti, cosa serve per le persone egoiste e irrazionali? Cosa serve per gli amministratori assenti? Per il giornalisti sempre a caccia dello scoop, per i quali l’informazione non è servizio, ma spettacolo ?

Sono stanco e adesso so cosa non va.

E’ la frustrazione davanti ad un mondo che osserva in silenzio. Ogni tanto, come sabbie liquefatte, sbolla dalla mia testa la rabbia per un mondo di guardoni inabili per scelta. Dove torvano spazio ciarlatani e complottisti, poichè non c’è mai chiarezza sugli eventi. Un silenzio di tomba sulle tante domande di chi vive in quei posti. Sui depositi di Gas di Rivara. Sulle trivellazioni. Sulle emergenze ignorate e poi male amministrate. E nelle buche del sistema, si annidiano egocentrici avari di potere, che detestano lo Stato solo perchè non rientrano nella casta che questo protegge e foraggia. E tutto intorno ignavi, noncuranti del prossimo, fermi, drogati di TV e marche, alla rincorsa di modelli indotti, galleggiano i Cittadini. Protestano e poi cenano in fretta per guardare L’isola dei Famosi.

Sento che sono vicino a perdermi, poi guardo alla mia destra. Sorride perchè è felice di aver portato la pasta. Poi ripenso a Francesca e a Marco. A Cavezzo, i terremotati del campo autogestito si sono rimboccati le maniche da subito. Dieci, venti persone, organizzano, sistemano, gestiscono, per il bene della Comunità intera, gli aiuti che arrivano da tutta Italia. Volontariamente. Senza ricavarne niente. Cosi come i ragazzi della Protezione Civile, incolpevoli della mala gestione, e colpevolmente accusati e aggrediti. Penso anche a tutti quelli che, anche privandosi di qualcosa, ci hanno permesso di portare acqua a chi aveva sete, pasta a chi non ha neanche le mutande, e ha fame.

E tutto torna sereno. Anche la stanchezza passa.

Ad oggi l’emergenza dei beni necessari sembra sotto controllo. Nel Campo di cavezzo hanno da mangiare; non hanno il problema dell’acqua. Anche i campi estivi hanno ricevuto le donazioni, per cui attualmente non ho missioni per il Team Ribelle. Se non la più importante, quella quotidiana. Lo sforzo di sentirsi sempre un terremotato nello spirito.

Spirito da terremotato inVolontario.

Persona con le mani pronte a fare, con gli occhi aperti per vedere e la testa libera per pensare. Donne e uomini pronti a condividere ciò che hanno. E a dare più importanza a ciò che sono.