Ti porterò con me

Nel silenzio e nel freddo pungente i fari del camper si spengono. Il parcheggio del palazzetto dello sport è semivuoto; ci sono cinque roulotte parcheggiate. Sono piccole. Hanno i cavi elettrici collegati ad un generatore esterno. Alcune biciclette incatenate ai lati. Da una delle roulotte esce una figura. Dice qualcosa ma non capiamo, per cui Dori apre lo sportello. L’uomo si avvicina. Vuole assicurarsi che non siamo male intenzionati. Ha avuto paura perchè le luci hanno illuminato l’interno della sua roulotte. Parla a fatica. Noi siamo molto stanchi, abbiamo l’impressione che abbia alzato un pò il gomito, ma può essere una sensazione sbagliata. Gli diciamo chi siamo, ci saluta e torna verso la roulotte. Sentiamo bussare dopo pochi istanti, è ancora lui. E dice:

“…siete organizzati per la notte?…qui è molto freddo, se volete io ho la stufa .”

Quell’uomo ha la stufa. Si preoccupa per noi e per il freddo che potremmo sentire. Perchè a Cavezzo adesso il freddo graffia, spacca la pelle, toglie il respiro gelando le narici. Quell’uomo vive li. Quella roulotte è la sua casa.

Come lui sono centinaia, migliaia forse.

La scossa dura secondi, il terremoto dura anni; anzi, forse non passa mai.

Mentre altrove i giorni passano, le vite si articolano nella cosi agognata normalità di una casa, un lavoro, il tempo libero, la scuola, la famiglia…nel cratere il tempo ha struttura diversa. La normalità è frastagliata forzatamente. I disagi si moltiplicano. Per tutti.

Voglio raccontarvi di un viaggio nell’amore e nella disperazione. Voglio che sappiate cosa c’è dove tutto adesso è incerto e insicuro. Voglio che veniate con me, per il tempo che leggerete queste mie righe. Senza schema, senta tempo, senza intenzione. Voglio che cerchiate di ” provare intimamente ” quell’arcobaleno di emozioni che il cratere può dare.

Vi invito a casa mia, da esule.

Il camper è pesantissimo. Abbiamo raccolto quasi 800 euro di offerte, oltre a 3 scatole di giochi e materiali che ci hanno consegnato direttamente alcuni amici. Cifre…150 litri di tempere in bottiglie da un litro, 250 cartoni bristol di tutti i colori 50 x 70 , 300 pennarelli, 100 matite, circa 200 pennelli di varie forme, 5000 fogli A4, 500 fogli colorati, 10 confezioni di carta crespa, 10 kg di pasta di sale e 10 kg di DAS, 15 litri di colle viniliche, oltre a forbicine, penne, lapis, gomme, cucitrici …e poi giochi da tavolo, puzzle, due enciclopedie complete, libri per bambini..Abbiamo scaricato il materiale nel magazzino della sede della “ONLUS per il territorio”, gestita direttamente da Francesca, che insieme alla coordinatrice dei centri giovani, smisterà il materiale nelle location prestabilite. Come sempre, nessun intermediario. Ci aiutano a scaricare alcuni volontari della Onlus, e la prima impressione è che si sia cercato di ricreare in quello spazio, lo spaccio del Campo Autogestito , che senza mezzo giro di parole, ha SALVATO centinaia di persone dalla miseria e dagli stenti. Ma qui è tutto diverso. Cavezzo è diversa.

Mi rimbalza nel petto l’emozione della prima passeggiata in paese, nel luglio scorso. Il silenzio era asfissiante, comprimeva aria pesante nella gola, dava il senso del soffocamento. Un paese morto che rinasceva al campo, dove la moltitudine laboriosa rendeva tutto vivo già dalle prime ore del giorno. Adesso il campo non c’è più. Il parcheggio davanti al Palazzetto è vento che taglia il niente. Ci viene un moto di soddisfazione appena vediamo che le tende non ci sono più. Quel moto lo frena immediatamente Francesca con il racconto della dura realtà. A Cavezzo ancora non sono rientrati nelle case. Molti vivono nei moduli. Hanno l’aspetto di lager, sono li soltanto da poche settimane e basta una piccola pioggia per farli sfollare perchè si riempiono di acqua e fango. Sono alimentati tutti elettricamente ( e le spese indovinate chi le paga??). Molte famiglie sono state divise. Le piccole e medie aziende chiudono. I lavoratori che accettano la delocalizzazione sono divisi dal resto del nucleo familiare. Il padre in albergo a Carpi, perchè lavora. Madre e figli magari a Bellaria. Il tessuto sociale smagliato. Le relazioni colpite, nelle difficoltà economiche e umane. Dedicato a  chi credeva che l’emergenza fosse finita.

In tutto questo lo Stato è assente ingiustificato. Assente. Non se ne intravede la presenza neanche a sforzarsi. Le istituzioni locali gestiscono nessun fondo. E se hanno qualche fondo da gestire, sono molteplici i casi in cui lo fanno elettoralmente. E ogni amministrazione poi differisce dall’altra. Sappiamo che a Finale Emilia il Sindaco aveva intimato ai possessori di case sfitte di concordarne il canone con il Comune per l’emergenza. Ha dovuto intimare il sequestro degli immobili sfitti. Ha perso dei voti e guadagnato la fiducia di molti. Mentre la mia opinione sugli immobiliaristi ha avuto solo l’ennesima conferma. Come sono sempre più convinto che il concetto di ” casa ” che abbiamo sia assolutamente sbagliato. Noi viviamo la casa come qualcosa di stabile, forte, pesante, immobile, chiuso. Ci siamo preoccupati nei decenni di fare tetti pesanti, mura enormi e rinforzate. E la terra ci ricorda in questi casi che per la Natura il cemento è veleno. E che ne possiede gli antidoti. Ti dondolo e ti scuoto e la tua pesantezza ti spezza. Ti schiaccia. Lo si capisce bene passeggiando per  Rovereto. Il paese contava 4500 residenti. Adesso sono 1800 anime perse. Strade residenziali con abitazioni antisismiche nuovissime completamente transennate. La terra le ha sollevate, e le ha lasciate ricadere su se stesse. Sono cosi apparentemente integre. Poi ti avvicini e vedi che l’intera casa è un coperchio storto e poggiato su una pentola più piccola. Divelte. Smottate. Inagibili. Da abbattere.

Casette di cemento bellissime una di fianco all’altra. Vuote. E i moduli abitativi provvisori a 300 metri. Un altro lager. E in molti casi questi lager, cosi agognati e orribili, necessari senza una politica lungimirante e umanamente difficili da guardare, non sono stati ancora consegnati. Come a Cavezzo, per esempio.

Cosi nello spazio lasciato vuoto dallo Stato si inseriscono le associazioni e i cittadini volontari. E quando questo succede, quando le energie dei cittadini si incanalano in un progetto ed i singoli si impegnano nel gruppo per il raggiungimento di uno scopo comune, accade quello che chiamerei un miracolo profano. Come a Rovereto, dove la Onlus costituita nei giorni del terremoto, è riuscita a convogliare aiuti dalla Val di Non e forze del territorio, per costruire un Centro Poliambulatoriale ad impatto 0. Squadre di dieci lavoratori raggiungono Rovereto dalla Valle, e prestano il loro lavoro, gratuitamente, per costruire il Centro. Mangiano in una mensa in cui cucinano gli abitanti di Rovereto, che li ospitano nelle poche case agibili. Una settimana e tornano a casa. Lasciando li il loro lavoro e la loro solidarietà , e portandosi via quei sorrisi che ti  spiegano perchè vale la pena viverla, questa esistenza scossa. Aziende della Valle regalano il legno, alcune aziende locali la poca pietra necessaria, qualche dono li, qualche altro la e competenze di settore…ed il Poliambulatorio sarà meraviglioso. Sul cemento della burocrazia può nascere un fiore. Ci hanno invitato all’inaugurazione e faremo di tutto per esserci. Grazie anche al Comune di Rovereto, che dopo due mesi di tira e molla e la minaccia di diffondere alla stampa il suo ostracismo verso un operazione a costo zero per l’amministrazione e molto utile alla popolazione, ha concesso un piccolo pezzo di terra.

La terra. La terra che violentate per la vostra vista miope.

E’ forte in me la convinzione che il terremoto del Maggio 2012 sia stato , allo stesso tempo, una catastrofe e una nuova possibilità. La catastrofe è evidente a chiunque si aggiri per le campagne e i paesi intorno a Cavezzo, Camposanto, San Felice, Mirandola, San Possidonio, Medolla, Rovereto, Novi..in tutta la bassa modenese. Se poi ci si ferma anche a parlare con le genti del cratere, la catastrofe appare ancora più evidente. Ma sarebbe sciocco e inutile restare fermi a piangere le macerie noi, mentre loro non lo hanno mai fatto. Nei campi organizzarono da subito la raccolta differenziata dei rifiuti, piccolo segno di infinita civiltà Si autogestirono spesso, cooperarono. Fondarono ONLUS per organizzare e coordinare gli aiuti, per sostenere chi aveva più bisogno. Non si sono piegati alle logiche della separazione, che taluno crede istinto umano, sui bisogni personali. Hanno invece riscoperto la reciproca assistenza, che non è assistenzialismo ma condivisione. E adesso potrebbero avere la possibilità di divenire il nuovo centro ecologico europeo. Case di legno, pannelli solari, fotovoltaico. Urbanizzazzioni morbide per accarezzare la terra cosi ferita. Nel cratere molto è da abbattere. Creare li la cultura della costruzione leggera potrebbe rendere quelle pianure un luogo meraviglioso per vivere. La loro economia locale è già puntellata sul chilometro 0. Creare ecovillaggi e non bacini per il gas. Ieri dondolavamo sulle stradine tra i campi che collegano San Possidonio a Motta e a Cavezzo..e c’era un estrattrice di gas in azione. Come è misera la ricerca del profitto.

 

L’operazione Giovani Creativi Emiliani è stata la terza spedizione del TeamRibelle. Al gruppo si sono aggiunti nuovi amici, grandi amici, persone speciali. E sono anche convinto che abbiamo fatto grandi cose. Ieri ci hanno detto che probabilmente i tre Centri a cui saranno distribuiti i nostri materiali, saranno in grado di svolgere le loro attività ricreative e artistiche per almeno sei mesi. E’ un grande traguardo. Ma sento che potremmo fare di più e meglio.

Mi sento piccolo di nuovo. Mi sento lontano da casa, seduto nella mia cucina. Durante la notte in camper ci pensavo. Pensavo a quanto in realtà siamo circondati da un universo di cose complicate che abbiamo creato noi, e da un altro universo di cose semplici che invece noi cerchiamo di rovinare.Vengo accusato spesso di voler portare indietro le lancette della storia, di ambire ad un mondo rurale ottocentesco, ma non è cosi. Io credo nella tecnologia. Credo nella tecnologia a servizio delle donne e degli uomini. Credo che vivremmo meglio lavorando meno, spendendo meno, consumando meno, producendo meno, creando energie pulite, avendo come mira il benessere e non il profitto. Credo che misurare lo spessore di una persona su ciò che possiede sia orribile. Mi chiedo come sia possibile ancora impegnare risorse economiche e scientifiche per creare grandi sistemi di spionaggio e di controllo dei cieli. Mi chiedo come sia possibile impiegare risorse in armamenti. In palazzi giganteschi. In automobili con la televisione, la macchina del caffè e due piscine come optionals..la strada che stiamo percorrendo è quella dell’estinzione, ne sono sempre più convinto. O facciam presto a cambiare direzione, oppure saremo inghiottiti dal vortice, fino a non essere più in grado neanche di renderci conto di quello che ci succede intorno. I morsi del progresso per il profitto sono mille volte più letali di quelli del gigante che ha sbranato l’Emilia nel maggio scorso.

Tra i balli, i canti, i giochi e i palloncini. Tra le risate e le grida dei bimbi e i loro occhi curiosi per l’angelo rosa. Tra le domande e le pacche sulle spalle e le strette di mano della gente del Circolo di San Prospero. Tra le macerie e i container, davanti ai negozi di Cavezzo 5.9. In ognuno di questi posti io respiro voglia di vivere e sofferenza, ingredienti necessari e insostituibili per ogni coscienza forte, per ogni speranza di un domani di nuova consapevolezza. Mi chiedono di tornare. Mi chiedono di aderire alle onlus con il TeamRibelle.

Nessuno mi chiede perchè io impieghi molto del mio pochissimo tempo per rincorrere le persone per aiutarci, chiedendo un offerta o semplicemente sostegno. Nessuno mi chiede quale sia la ragione che mi spinge ad insistere con chi ha un pò meno consapevolezza, per avere un offerta anche minuscola di tempo o denaro. Nessuno ci chiede qual’è il motivo di tante sere passate sperando di riuscire a portare conforto alle persone colpite dal sisma. Che non dimentichiamoci è ancora li !!! Il sisma è ancora nel cratere. Ci resterà per sempre, nelle paure quotidiane e negli effetti devastanti che ha avuto sulla società, sul lavoro e sulle famiglie di quei paesi.

Cosi mentre scrivo questa ultima parte del mio racconto, al caldo del mio appartamento, vicino ai miei affetti, mi sento decisamente colpevole. Ho fatto ancora poco. Posso fare molto di più. Farò molto di più. E per prima cosa manterrò una promessa fatta nel giugno del 2012.

“Noi non ci dimenticheremo di voi. Non vi lasceremo soli.”

Adesso ti chiedo, a te che stai leggendo queste parole, di ascoltarmi bene.

Non cercare nelle mie parole ne rimprovero ne biasimo ne superiorità alcuna.

Chiudi gli occhi e guarda dentro di te. Vedrai che c’è lo spazio per gli altri.

Al prossimo viaggio, ti porterò con me.